2016/02/06

1971/02/06: Le immagini restaurate delle palline da golf sulla Luna

Alan Shepard gioca a golf.

 

Il 6 febbraio 1971 Alan Shepard, comandante della missione Apollo 14, diventa la prima persona nella storia dell’umanità a giocare a golf sulla Luna.

Shepard, appassionato giocatore di golf, sta terminando l’esplorazione della superficie lunare svolta insieme al collega Ed Mitchell. Estrae da una tasca della sua tuta spaziale una testa di bastone da golf, la aggancia al manico di uno degli strumenti scientifici usati per la raccolta dei campioni e la usa per lanciare alcune palline da golf che ha portato con sé nella stessa tasca.

L’evento viene trasmesso in diretta TV, e diventa celebre la frase che Shepard usa per descrivere il risultato dei suoi tiri, effettuati nonostante l’impaccio della rigidissima tuta spaziale ma con il vantaggio della ridotta gravità lunare (un sesto di quella terrestre) e dell’assenza di resistenza aerodinamica (non essendoci un’atmosfera).

“Miles and miles and miles!”, dice scherzosamente Shepard. Miglia e miglia e miglia. È chiaro sin da subito che quelle miglia sono un’esagerazione, viste le condizioni difficilissime del tiro, e durante il viaggio di ritorno dalla Luna l’astronauta riferirà via radio di stimare che una pallina abbia percorso circa duecento metri e l’altra ne abbia coperti circa quattrocento. Ma ci vorranno cinquant’anni prima di scoprire dove sono effettivamente finite e quanta distanza hanno davvero percorso quelle palline.

Nel 2021, infatti, le ricerche degli esperti e il restauro digitale delle immagini scattate durante la missione permetteranno di localizzare le palline da golf tirate da Shepard e le posizioni di tiro, come mostrato qui sotto in una composizione digitale di varie fotografie scattate dall’interno del Modulo Lunare al termine dell’ultima escursione lunare (divot è il termine inglese usato per indicare un incavo nel terreno prodotto dal bastone da golf nel colpire la pallina):

 

Il restauratore di fotografie Andy Saunders recupererà le immagini migliori disponibili della missione e produrrà questi ingrandimenti delle zone intorno alle due palline da golf (l’asta nella prima foto proviene da un esperimento per il vento solare ed è stata lanciata dal collega Ed Mitchell come se fosse un giavellotto):


 

Saunders, inoltre, elaborerà digitalmente tramite stacking i fotogrammi della ripresa del decollo dalla Luna, fatta dall’interno del Modulo Lunare usando pellicola cinematografica nel formato 16 mm, e otterrà quest’immagine della zona di decollo, nella quale si possono scorgere le due palline e il “giavellotto”.


Quest’immagine, però, è inclinata, per cui è difficile usarla per determinare le distanze esatte. Saunders userà quindi le immagini dellla sonda Lunar Reconnaissance Orbiter, che dal 2009 fotograferà l’intera superficie lunare da una quota di circa 100 chilometri, con occasionali discese a quote più basse, e nel 2011 scatterà un’immagine della zona di allunaggio di Apollo 14 che è una veduta sostanzialmente verticale della zona e come tale non è affetta da distorsioni di prospettiva.

Saunders la elaborerà per ottenere questo risultato: 22 metri per il primo tiro e 36,5 metri per il secondo.


Il bastone da golf usato sulla Luna verrà riportato sulla Terra e custodito presso il museo della USGA, che racconterà in dettaglio tutta la vicenda, spiegando che la testa è una Wilson Staff Dyna-Power da ferro 6 (credo che si dica così nel gergo del golf italiano) e mostrando anche le foto di una delle fosse e delle impronte lasciate nella polvere lunare da Shepard quando si posizionò per uno dei tiri.

L’astronauta non rivelerà mai la marca delle palline usate, per evitare pubblicità, anche se emergeranno alcuni indizi in proposito: gli erano state donate da un professionista del golf, Jack Harden, presso il River Oaks Country Club di Houston.


 

Questa è una foto di Shepard che verrà scattata qualche anno dopo la missione e mostra bene l’attacco della testa e le dimensioni molto compatte del manico ripiegabile.


Il gesto di Alan Shepard è un momento di umanità in una serie di missioni a volte caratterizzate da un eccesso di tecnologica freddezza, ma ha anche un valore simbolico. Il golf diventa il primo sport giocato su un altro corpo celeste e gli Stati Uniti dimostrano anche in questo modo la loro maestria nel campo spaziale rispetto ai sovietici, che non riescono neppure a far arrivare sulla Luna un cosmonauta mentre gli americani si permettono persino di giocare. Non va dimenticato che le missioni Apollo sono un esercizio di propaganda politica nel quale la scienza è secondaria.

Fra l’altro, inizialmente la NASA si è opposta all’idea di Shepard. L’astronauta aveva spiegato che il bastone e le due palline non sarebbero costate nulla al contribuente americano e che li avrebbe usati soltanto se la missione avesse avuto successo e soltanto al termine di tutte le attività pianificate. In un’intervista che rilascerà nel 1998, Shepard racconterà di aver detto molto chiaramente a Bob Gilruth, direttore del Manned Spaceflight Center che era contrario alla proposta, queste parole: “Non sarò così frivolo. Voglio aspettare la fine della missione, mettermi davanti alla telecamera, dare una botta a queste palline con questo bastone improvvisato, ripiegarlo, mettermelo in tasca, risalire la scaletta, chiudere la porta e andare.”

In ogni caso, quei due tiri di Alan Shepard costituiscono un esperimento di fisica non banale. L’idea di giocare a golf sulla Luna è stata lanciata per scherzo dal popolarissimo comico statunitense Bob Hope durante una sua visita alla NASA e Shepard aveva notato che sarebbe stato un ottimo modo per mostrare agli spettatori della missione la differenza della gravità lunare. Nessuno aveva mai tirato una pallina da golf nel vuoto, dove non c’è l’effetto Magnus prodotto dall’interazione delle fossette della pallina con l’aria. Inoltre il fatto stesso di riuscire a centrare le palline con la testa del bastone, nonostante la limitatissima visibilità verso il basso offerta dalla tuta e la rigidità delle articolazioni delle braccia della tuta, è una testimonianza dell’abilità e della determinazione di Alan Shepard.

Quelle palline resteranno là indisturbate per oltre mezzo secolo, piccole testimoni di un’avventura incredibile di mezzo secolo fa, in attesa che qualcuno ritorni a visitare quei luoghi alieni e silenti. 

 

Fonti aggiuntive: BBC Sport, Ars Technica

 

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.